Misurare l’acidità dell’uva (o, per essere più precisi, del mosto – il liquido ricavato dalla pigiatura o torchiatura dell’uva e destinato, tramite fermentazione, a trasformarsi in vino) rappresenta una delle due analisi più importanti da eseguire, insieme alla misura del suo grado zuccherino.
L’acidità può essere espressa come acidità reale (pH) o come acidità totale (acidità titolabile – TA). La differenza fra l’acidità espressa in pH e per “titolazione” è che, laddove la prima misura la concentrazione degli ioni H + dissociati dagli acidi presenti nel mosto, la seconda misura la somma di acidi fissi e acidi volatili. L’unità di misura dell’acidità titolabile è g/L: grammi per litro.
Noi ci concentreremo su come misurare questa seconda espressione di acidità.
Prima di descrivere come misurare l’acidità dell’uva, soffermiamoci un attimo sui tre principali acidi fissi che formano l’acidità totale: l’acido malico, l’acido tartarico e l’acido citrico. Vi sono anche altri acidi in quantità molto ridotte, come gli acidi caffeil-tartarico o l’acido shikimico, ma non ce ne occuperemo in questo articolo.
L’acido tartarico (acido dicarbossilico)
Durante la vinificazione, l’azione svolta dall’acido tartarico è fondamentale. Le concentrazioni di questo acido vanno dai 2 ai 6 grammi per litro.
Oltre all’uva, l’acido tartarico lo si trova in pochissima frutta. Fra i tre acidi dell’uva è quello le cui quantità sono maggiori (oltre ad essere l’acido più forte), tanto che quando si parla di acidità dell’uva si fa spesso riferimento, in Italia, al suo contenuto di acido tartarico. È il maggiore responsabile del sapore “acido” del vino.
Come nel caso dell’acido malico, la concentrazione di acido tartarico diminuisce col procedere della maturazione e della fermentazione.
Alcuni sali poco solubili dell’acido tartarico (Cat e KHT) creano quei depositi cristallini che è possibile alle volte trovare nelle bottiglie di vino.
Questo acido ha inoltre la funzione di correggere l’acidità del vino, oltre che proteggere la bevanda dalla formazione di batteri.
L’acido malico (acido dicarbossilico)
L’acido malico è l’acido più comune fra quelli contenuti nella frutta.
Man mano che il processo di maturazione prosegue, diminuisce il contenuto di acido malico nell’uva. Questo avviene perché, nelle settimane immediatamente successive all’invaiatura (ovvero la fase finale di maturazione dell’uva prima della vendemmia), l’acido viene “respirato” dal frutto.
Le concentrazioni di questo acido nel mosto variano a seconda delle zone in cui l’uva viene raccolta. Nelle regioni più a Nord la concentrazione va dai 4 ai 6 grammi per litro (g/L), mentre a Sud la concentrazione scende a 1 o 2 grammi per litro.
Durante l’arco delle due settimane successive all’invaiatura, la concentrazione di acido malico nel mosto cala fino alla metà, grazie all’azione del glucosio e dei batteri lattici, che durante la fermentazione malolattica lo trasformano in acido lattico.
L’acido malico è indispensabile soprattutto nei vini rossi destinati all’invecchiamento.
L’acido citrico (acido tricarbossilico)
L’acido citrico è contenuto soprattutto negli agrumi, a cui dona il caratteristico gusto “acidulo”. La concentrazione di acido citrico nei mosti va da 0.5 a 1 grammo per litro.
Durante la fermentazione malolattica, può venire degradato dai batteri lattici ed essere trasformato in acido acetico.
L’acido citrico è quello dalle concentrazioni minori. Se dividessimo il mosto in sei parti uguali, una sola di esse sarebbe costituita dall’acido citrico; due parti saranno invece composte di acido malico ed infine tre di acido tartarico (con cui, come già detto, viene espressa l’acidità totale in Italia).
Cosa è l’acidità reale?
Come abbiamo detto, l’acidità reale (espressa in pH), misura la concentrazione degli ioni H+. Tramite pH vengono espressi gli equilibri di dissociazione dei vari acidi sopramenzionati (per una data temperatura e pressione).
Il pH dipende dalla maturità dell’uva, dall’andamento stagionale, dal tipo di coltivazione e dalla composizione del terreno: in generale i suoi valori variano da 2.8 a 4, con valori più alti per i vini rossi e più bassi per i vini bianchi.
L’acidità reale influisce sulle caratteristiche sensoriali del vino e sulla sua stabilità; in particolare essa influenza (fra gli altri):
- intensità dei colori dei vini rossi;
- il gusto del vino;
- la reazione in fase di invecchiamento;
- le azioni degli enzimi;
- solubilità di tartrati e proteine.
Misurazione dell’acidità totale del mosto
L’acidità totale indica, per essere precisi, i millequivalenti di base forte (ovvero completamente dissociata, come l’idrossido di sodio) che sono necessari per neutralizzare a pH 7 un litro di mosto.
Per misurare l’acidità totale del mosto, bisogna quindi per prima cosa neutralizzarlo. Il mosto viene neutralizzato tramite una soluzione basica di NaOH N/4. Gli indicatori utilizzabili sono il blu di bromotimolo oppure il rosso fenolo.
Vediamo ora come avviene la procedura:
- per prima cosa bisogna prelevare 25cc di mosto. Questi vengono messi in un becher ed agitati in modo da eliminare l’anidride carbonica (che alzerebbe il tasso di acidità).
- Successivamente, si deve riempire una buretta (tubo cilindrico graduato, solitamente in vetro) di idrossido di sodio 0,25N.
- Ora bisogna procedere ad aggiungere l’indicatore (blu di bromotimolo o rosso di fenolo) fino a raggiungere un pH pari a 7.
- Infine, si misura l’acidità totale tramite la formula 75: (1000*4) n* (1000:25) = 3/4*n da cui si ottengono i grammi in litro di acidità totale.
Traduciamo i vari componenti della formula appena citata:
- 75 si riferisce al peso equivalente dell’acido tartarico;
- 1000*4 è la quantità di acido tartarico presente in una soluzione di 1000cc di acido N/4;
- n si riferisce ai cc di NaOH 0,25N;
il 25 di 1000:25 si riferisce allo 0,25N di NaOH.