Esistono vari modi di dire sul vino. Uno di questi è “finire a tarallucci e vino”.
Vi sarà probabilmente capitato di sentire questa espressione dopo un litigio con lieto fine. Ma da dove deriva il detto finire a tarallucci e vino? Significato e origine del modo di dire.
“Finire a tarallucci e vino”: significato
Questa espressione è nata in origine al sud Italia, poi diffusa in tutta la penisola, e deriva dall’antica tradizione contadina: quando arrivavano ospiti, il padrone di casa era solito offrire tarallucci e vino, come gesto di benvenuto, cordialità e amicizia. Un aperitivo, come lo definiremo oggi, con prodotti semplici e alla portata di tutti.
Il modo di dire finire a tarallucci e vino significa che si è creato un momento di convivialità, di amicizia e di festa, un clima sereno dopo una situazione inizialmente complicata, come una lite o un diverbio.
Negli ultimi anni questo modo di dire ha assunto un’accezione più negativa, specie in ambito giornalistico. Tarallucci e vino viene usato per indicare accordi politici presi sottobanco o che è stato raggiunto un compromesso utile tra due parti politiche che inizialmente sembravano ostili e opposte, salvaguardando solo gli interessi dei singoli.
L’origine dei tarallucci
Chiamati anche taralli, si tratta di biscotti tipici della tradizione meridionale, soprattutto della Puglia e della Campania, di forma circolare, come delle piccole ciambelle, e cotti al forno con un impasto a base di farina, olio, acqua, sale e aromi vari. Esistono infatti diverse varianti, sia dolci che salate.
C’è chi dice che la loro origine risalga al 1400 circa: all’epoca non tutti possedevano un forno, quindi le donne nei giorni di festa facevano la fila per infornare i propri biscotti nel forno pubblico. Secondo altre fonti, i taralli sono nati nel ‘700 nei quartieri meno nobili di Napoli.
I tarallucci venivano gustati durante il pasto spesso in sostituzione del pane con un bicchiere di vino in genere rosso. Erano il simbolo della convivialità e informalità.